Moralità minacciata e istigazione alla criminalità erano ritenute, comunque, questioni tutt'altro che trascurabili: basti leggere Il bilancio annuale della censura italiana, apparso su “La Vita Cinematografica” il 7 marzo 1915, che nel proporre un raffronto fra la censura inglese e italiana, si sofferma sulle motivazioni dei divieti della censura nostrana: “39 pellicole vietate per ragioni di moralità; 52 perché le azioni da esse rappresentate potevano riuscire una scuola del delitto”.
Nell'intervento pubblicato nel maggio 1916 sul quindicinale “Cronache d'attualità”, avente per oggetto L'opera deleteria del cinematografo sulla morale delle folle e il mondo cinematografico “intimo”, l’autore B. Galaragi (pseudonimo di Anton Giulio Bragaglia) riconosce al cinema la capacità di influenzare le masse e di esser riuscito in poco tempo a costituire un elemento importante della quotidianità, ma fra le righe emerge la descrizione di un pubblico considerato sprovveduto, totalmente privo di mezzi che possano consentirgli di non confondere finzione dello schermo e realtà. Il cinema, come strumento di corruzione sociale e morale, divulgatore della sensualità più sfrenata (altro tema caldo ricorrente), necessiterebbe – sempre secondo Galaragi – di una decisa opera di epurazione da parte della censura.
Al cospetto di tali idee (forse non casualmente apparse su una rivista non dedicata esclusivamente al cinema), le considerazioni espresse in due articoli pubblicati rispettivamente su “In Penombra” nell'agosto 1919 (Pepper, Il cinematografo e la censura come contributi... ) e “La Rivista Cinematografica” del 25 aprile 1920 (E la Censura lavora... ), appaiono più illuminate. Nel primo, l’autore sostiene la relatività del concetto di morale, portando a sostegno della sua tesi la consueta pratica da parte dei produttori di re-integrare nelle copie dei film destinati al mercato estero le scene censurate in Italia. Nel secondo è interessante notare invece, a fronte dell'ennesima disposizione di proibire film che abbiano per oggetto episodi di rivoluzione (l’articolo riferisce del divieto a Torino di alcune scene del film Madame du Barry e a Firenze di Madame Tallien), la dettagliata disamina dei motivi per cui questo tipo di provvedimenti sia immotivato, in quanto il pubblico o dimostra di avere una visione molto disincantata di ciò che passa sullo schermo o, nel caso di spettatori con maggiore senso critico, non è facilmente influenzabile dalla finzione delle immagini cinematografiche.