I primi passi della Censura cinematografica in Italia: il quadro legislativo
Con la rapida affermazione del cinema, forma d'intrattenimento capace di attrarre un pubblico eterogeneo per età, genere e classe sociale, si fa sempre più frequente fra i sostenitori della causa moralizzatrice, la preoccupazione che possa veicolare messaggi e comportamenti diseducativi, quando non addirittura criminali, soprattutto fra le fasce di spettatori più deboli, ovvero i bambini, le donne, i neuropatici e il pubblico meno colto (si confronti quanto scriveva Giulio Rudini su “Il Maggese Cinematografico” del 10 maggio 1913). Non sorprende quindi la frequenza con la quale viene invocata l’istituzione della Censura cinematografica sin dai primi anni del Novecento.
La Censura nella stampa cinematografica
Fatta eccezione per il periodo relativo all'istituzione dell’Ufficio di revisione (1913) e quello che vedrà la prima importante riforma (1919-1920), la stampa periodica specializzata si occupa occasionalmente della censura, pubblicando e commentando i testi legislativi (come nel caso della pubblicazione della legge e regolamento sulla Vigilanza sulle pellicole cinematografiche, apparsa su “La Vita Cinematografica” del 15-22 agosto 1914), ospitando interventi orientati al confronto tra i sostenitori e chi manifesta invece scetticismo e dissenso rispetto alla sconsiderata insensatezza dei provvedimenti imposti dalle commissioni. Queste ricorrenti voci critiche affermano l'inutilità della censura, ponendo l'accento sulle sue finalità lucrative e sui danni arrecati allo sviluppo della neonata industria, già provata dalle limitazioni imposte dal primo conflitto mondiale, nonché dalla forte concorrenza dei mercati internazionali.
Il cinema e i “pericoli” della minaccia alla moralità e dell’istigazione alla criminalità
Moralità minacciata e istigazione alla criminalità erano ritenute, comunque, questioni tutt'altro che trascurabili: basti leggere Il bilancio annuale della censura italiana, apparso su “La Vita Cinematografica” il 7 marzo 1915, che nel proporre un raffronto fra la censura inglese e italiana, si sofferma sulle motivazioni dei divieti della censura nostrana: “39 pellicole vietate per ragioni di moralità; 52 perché le azioni da esse rappresentate potevano riuscire una scuola del delitto”.
Verso la prima riforma
I casi appena citati dei divieti di Torino e Firenze dimostrano come nonostante l'istituzione dell'Ufficio Centrale, il problema delle cosiddette “censure locali” sembrasse persistere: ancora nel maggio 1916, la rivista “Cinemagraf” ospita un intervento dell'On. Innocenzo Cappa, che rileva come si verifichino ancora frequentemente situazioni sconvenienti di film approvati dal Ministero, ma poi vietati in qualche città per disposizioni di altri “censori”...
Scettiscismo e sfiducia della stampa specializzata nei confronti della Censura
In buona parte dei contributi pubblicati sulle riviste di settore dell'epoca sono presenti toni più o meno palesemente ironici o sarcastici. Questa tendenza trova la sua più brillante espressione nelle dichiarazioni rilasciate a “La Vita Cinematografica” nel dicembre 1920 dal noto soggettista Riccardo Artuffo, il quale affida a un fantasioso racconto le sue personali considerazioni sull'insensatezza e futilità della censura e dei provvedimenti.