I casi appena citati dei divieti di Torino e Firenze dimostrano come nonostante l'istituzione dell'Ufficio Centrale, il problema delle cosiddette “censure locali” sembrasse persistere: ancora nel maggio 1916, la rivista “Cinemagraf” ospita un intervento dell'On. Innocenzo Cappa, che rileva come si verifichino ancora frequentemente situazioni sconvenienti di film approvati dal Ministero, ma poi vietati in qualche città per disposizioni di altri “censori”...
La macchina della censura si muove dunque, ma non senza incertezze. E così già intorno al 1916-1917 si comincia a discutere la possibilità di riformare l'istituto, per rispondere più efficacemente all’evoluzione dell'industria cinematografica.
Un'acuta osservazione è suggerita da Salvatore Aversa, il cui contributo pubblicato su “L'Arte Muta” di ottobre-novembre 1916 pone l'accento sul problema che i veti della censura arrecano ai capitali investiti dai produttori: l’autore individua una possibile soluzione nell'istituzione di una censura preventiva sul copione che, pur non escludendo la revisione del film, avrebbe dovuto tutelare i soggetti chiamati a finanziarlo.
Nell’editoriale pubblicato su “La Cine-Gazzetta” del 10 novembre 1917, disquisendo della possibilità che un nuovo regolamento fosse presto stilato, veniva auspicata la partecipazione alla redazione del medesimo di almeno un rappresentante esperto dell'industria, individuato nella persona di Giulio Cosmelli dell'Ufficio Industriale per la Revisione Cinematografica “Cosmos”, sorto già nel 1914, con l'obiettivo di fornire supporto e assistenza alle case di produzione nell'assolvimento delle pratiche di presentazione delle domande di revisione. L'articolo inoltre invocava, contro il libero arbitrio dei censori, l'introduzione di regole chiare rispetto ai criteri di ammissibilità dei film, tenendo in considerazione gli elementi di artisticità e sapendo distinguere “i confini fra l'arte e la morale, fra la bellezza ed il pervertimento, fra l'estetica e l'immoralità”.
I giornali tornano sull'annoso problema dei componenti le commissioni di revisione, in particolare sulle discutibili competenze culturali del personale preposto al giudizio. Nell'editoriale de “La Rivista Cinematografica” del 10 febbraio 1920 (dello stesso tenore anche quello del 10 marzo ), per esempio, oltre a caldeggiare la ripartizione dell'enorme quantità di film da esaminare a commissioni “minori” istituite in altre quattro o cinque città (costituendo sorte di succursali dell'Ufficio Centrale) per poter supplire agli inevitabili ritardi conseguenti l'accentramento nella sola capitale, si accenna anche alla proposta avanzata dal senatore Molmenti di istruire la commissione con personale della Direzione delle Belle Arti.
E sempre “La Rivista Cinematografica” si sofferma ancora sulla questione il 10 agosto 1920, appena rese note le nuove normative sulla composizione delle commissioni, per manifestare il proprio disappunto e constatare una volta di più l'incapacità da parte dei censori di cogliere il valore artistico dei film.